AMARCORD | Igor non è più biancoscudato: storia dell'ultimo eroe romantico del calcio a Padova

Igor Radrezza non è più un giocatore del Padova. Sì, vero, non è una notizia di oggi. Lo si sa dallo scorso 30 giugno, quando gli è scaduto il contratto e la società non glielo ha rinnovato, precisando immediatamente che, per quanto padovano, attaccato alla maglia, numero uno nel rapportarsi con la piazza e autentico trascinatore, “non si sposa, per caratteristiche, con il ‘3-4’ disegnato dall'allenatore Matteo Andreoletti per il Padova edizione 2024-2025".
Vero anche questo. Nel centrocampo a 2 Igor non sa esprimersi come nel centrocampo a 3 in cui si mette a fare il play basso davanti alla difesa, alza continuamente lo sguardo come fosse un'aquila che aguzza la vista per puntare meglio la sua preda e verticalizza come non ci fosse un domani ispirando i compagni che si muovono nel reparto avanzato, ma non è una questione di modo di giocare, di qualità, di prestanza fisica e di posizione del campo (anche se comunque 12 assist in 2 stagioni rappresentano un dato tutt'altro che da buttare in fosso). Chi prenderà il suo posto a centrocampo lo farà senz'altro bene ma Igor mancherà. Eccome se mancherà. Ci mancherà. Mancherà ai tifosi che vedevano in lui un punto di riferimento in un momento in cui i rapporti con la proprietà sono ridotti ai minimi termini (anzi non ci sono proprio). Mancherà perché negli ultimi anni le uniche emozioni vere, sparse qua e là in campionati iniziati sotto i migliori auspici e finiti con il naufragio di tutti i sogni di gloria con l'aggravante della componente “sfortuna” a schizzare ai massimi livelli, sono scaturite da situazioni in cui il protagonista era lui, il centrocampista con la maglia numero 10, su tutte il cucchiaio su rigore a Vicenza sotto la curva gremita di vicentini, dopo aver convinto Bortolussi, il rigorista designato, a fidarsi di lui. A passargli il pallone che poi Igor si è messo sotto il braccio, ha appoggiato sul dischetto e ha trasformato nel gol più indimenticabile, nell'esultanza più indimenticabile, con i suoi 60 metri di corsa dalla parte opposta dello stadio Menti, per festeggiare con i “suoi”. La piazza si sentirà terribilmente orfana del suo “padovano”, del suo capopopolo, di chi l'ha resa così felice in un periodo storico così infelice.
La notizia del suo accasamento alla Spal con un contratto biennale è quindi di quelle che scuotono, affondano il colpo, suscitano un doppio effetto, uguale e contrario: Igor è come un “figlio” per Padova, gli si vuol tanto bene quindi ovvio che ci sia felicità nel vederlo “sistemato” in un club importante e non troppo lontano dalla casa di Abano Terme che da venti giorni condivide con la neo moglie Benedetta. Altrettanto normale che, nel retro del cuore, ci sia anche un velo di amarezza per quello che poteva essere e non potrà più essere.
A consolare, ad alleggerire, la speranza che prima o poi i destini si possano nuovamente incrociare, stavolta, possibilmente, con un lieto fine. E la certezza che biancoscudato, Igor, lo sarà per sempre, anche se non indossa più la maglia del Padova. Perché le radici restano qui, anche se le ali del calcio lo hanno portato altrove.